Documenti riservati invalidano l’appello degli Stati Uniti contro Assange

Italiani per Assange
30 min readDec 7, 2021

di Richard Medhurst

(la versione originale dell’articolo può essere letta qui )

  • Nel 2009 David Mendoza Herrarte fu estradato dalla Spagna negli Stati Uniti, alla condizione che potesse scontare la sua condanna in Spagna.
  • Documenti riservati rivelano le garanzie diplomatiche offerte dall’ambasciata americana a Madrid e come gli Stati Uniti abbiano violato le condizioni della sua estradizione.
  • Mendoza ha passato più di 6 anni negli Stati Uniti cercando di ottenere il rientro in Spagna. Documenti giudiziari mostrano come gli Stati Uniti abbiano più volte respinto la sua richiesta di trasferimento.
  • Mentre era in prigione, Mendoza ha denunciato sia gli Stati Uniti che la Spagna per essere venuti meno alle condizioni della sua estradizione e aver violato i suoi diritti umani. Il suo caso ha, di recente, ricevuto l’appoggio delle Nazioni Unite.
  • Il caso di Mendoza è stato citato il mese scorso all’Alta Corte di Giustizia inglese dove gli Stati Uniti stanno cercando di ottenere l’estradizione di Julian Assange sul loro territorio.
  • Gli Stati Uniti hanno offerto analoghe garanzie diplomatiche in base alle quali ad Assange sarebbe permesso di scontare la sua condanna in Australia.
  • Gli avvocati di Assange hanno fatto riferimento al caso di Mendoza come prova che le garanzie non possono essere ritenute valide.
  • Il rappresentante legale del governo americano, l’avvocato James Lewis, ha ribattuto che le garanzie sono a prova di bomba. Ha dichiarato alla Corte che “gli Stati Uniti non hanno mai in nessun caso violato una garanzia diplomatica”. Documenti giudiziari e garanzie diplomatiche ottenute da Richard Medhurst dimostrano che questo è falso.

David Mendoza Herrarte è nato e cresciuto negli Stati Uniti. Dal momento che sua madre era spagnola, era solito andare in Spagna ogni estate e me l’ha descritta come la sua seconda casa. Ha una doppia cittadinanza, spagnola e statunitense.

Mendoza era ricercato dagli Stati Uniti per traffico di droga. Agli inizi degli anni 2000 aveva usato degli elicotteri per trasportare marijuana, nota comunemente come BC Bud, dal Canada attraverso il confine con gli Stati Uniti fino a Seattle. Oggi la marijuana è legale a Seattle.

Mendoza lavorava nel settore dell’edilizia e dello sviluppo immobiliare, facendo ottimi utili. Mi ha riferito di aver fatto questo [NdT: trasportare droga] solo per avere dei finanziamenti extra per alcuni dei suoi progetti urbanistici: “Avevo così tante cose in ballo. Non avrei mai dovuto farlo, per cominciare. Ma quando ero sulla ventina, ero eccessivamente ambizioso”.

Mendoza si accorse per la prima volta che le autorità americane erano sulle sue tracce, quando venne tamponato alla guida da un furgone e alla sua macchina si staccò il paraurti posteriore. Quando la portò ad un’officina di riparazioni, il meccanico lo informò che un sistema di tracciamento GPS recante la scritta “proprietà del governo federale” era stato posizionato sotto la sua automobile.

Mendoza mi ha riferito che delle squadre erano state allertate perché lo sorvegliassero 24 ore al giorno. Mentre chiacchierava casualmente con un vicino, venne a sapere che il governo aveva affittato la proprietà di fronte alla sua che un altro vicino aveva tentato di dare in affitto, con scarso successo, alla cifra astronomica di 6000 dollari al mese.

Per evitare di destare sospetti, Mendoza era consapevole di non poter lasciare il paese perché con ogni probabilità sarebbe stato fermato all’aeroporto. Invece scambiò la sua auto con quella di una cameriera che lavorava in uno dei suoi ristoranti e, all’insaputa di lei, guidò per 20 ore fino al confine con il Messico.

Una volta in Messico, si stabilì in una casa di sua proprietà per circa un mese, finché non iniziò a circolare la voce che un mandato di arresto internazionale era stato spiccato contro di lui. Lasciò il Messico alla volta di Madrid, giungendo in Spagna a giugno del 2006.

Due anni più tardi, nel giugno del 2008, Mendoza fu arrestato dalla polizia spagnola sulla base di un mandato di arresto internazionale. Gli Stati Uniti avevano richiesto la sua estradizione per accuse connesse al traffico di droga e al riciclaggio di denaro.

A quel punto, Mendoza si era già fatto una vita e una famiglia in Spagna; era sposato con due bambini. Mendoza mi ha detto: “In Spagna, se ti condannano, ti mandano il più vicino possibile alla tua famiglia. Hai visite illimitate, visite coniugali e i tuoi figli possono stare con te. In molti casi i figli vivono con la madre. L’idea è di preservare il nucleo familiare”.

I giudici presero in considerazione che Mendoza ora viveva in Spagna, che era sposato e che il suo figlioletto più grande, di appena 9 mesi, era nato con la sindrome di Down. Aveva un altro figlio in arrivo che era appena stato concepito ed entrambi avevano la nazionalità spagnola. Alla luce di queste condizioni, Mendoza chiese ai giudici di tenere in considerazione la sua famiglia.

Ad agosto del 2008, l’Audienca Nacional Spagnola stabilì che l’estradizione di Mendoza negli Stati Uniti avrebbe potuto essere concessa solo a queste 3 condizioni: 1) che potesse scontare la pena in Spagna , 2) che non gli venisse comminato l’ergastolo e 3) che non fosse perseguito per speculazione valutaria fraudolenta.

I pubblici ministeri americani si opposero argomentando che il Trattato di Estradizione non permetteva alla Spagna di dettare condizioni.

Novembre 2008: La magistratura iberica rispose con una seconda delibera giudiziaria ribadendo che la Spagna aveva sì il potere di imporre delle condizioni sull’estradizione di un cittadino spagnolo.

In entrambe le delibere i giudici spagnoli avevano preso una posizione inequivocabile: se gli Stati Uniti volevano che Mendoza venisse estradato, dovevano rimandarlo in Spagna a scontare la pena.

Gennaio 2009: L’ambasciata americana a Madrid mandò al governo spagnolo una nota verbale contenente delle garanzie riguardo a David Mendoza.

Riportava tutte le accuse che avevano colpito Mendoza, compresa quella di speculazione valutaria fraudolenta che era stata esplicitamente esclusa dal tribunale spagnolo (per il fatto che non esiste un reato corrispondente nel codice penale iberico. Per la stessa ragione era stata esclusa una condanna a vita, perché la legislazione spagnola non contempla l’ergastolo e l’estradizione deve avvenire conformemente alla legge spagnola).

Nelle garanzie diplomatiche offerte alla Spagna dagli Stati Uniti si legge: “Il Distretto occidentale di Washington a Seattle ha inoltre specificato che non si opporrà alla richiesta di Mendoza di scontare la sua condanna in Spagna in accordo con la Convenzione del Concilio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate e i relativi statuti attuativi”

Questa “garanzia” diplomatica suscitò immediatamente delle perplessità.

La garanzia diplomatica non dichiarava esplicitamente che Mendoza sarebbe stato trasferito in Spagna per scontare la sua sentenza. Diceva solo che gli Stati Uniti “non si sarebbero opposti alla richiesta da parte di Mendoza di scontare la sua sentenza in Spagna”, cosa che gli Stati Uniti non avrebbero comunque potuto fare, dal momento che ogni prigioniero ha il diritto di richiedere il trasferimento sulla base del trattato [di estradizione].

Mendoza mi ha detto: “Questo dimostra la perversione di queste persone; usano volutamente questo linguaggio ambiguo. C’è un precedente in un tribunale federale secondo cui, se loro non accettano esplicitamente il trasferimento, non è valido”.

Di recente gli Stati Uniti hanno offerto simili garanzie diplomatiche al Regno Unito e cioè che Assange potrebbe scontare la sua condanna nella sua patria, in Australia.

Mendoza dice che per essere valide, le garanzie diplomatiche devono esplicitamente affermare in anticipo che il Dipartimento di Stato americano e l’Australia accettano il trasferimento di Assange- altrimenti non hanno alcun valore.

Con il caso di Assange, posso predire in maniera assolutamente nitida che l’Australia non farà nulla. In base al Trattato tutt’e tre le parti in causa (Julian, l’Australia e gli Stati Uniti) devono essere d’accordo; ma dietro le quinte gli Stati Uniti possono dire all’Australia: “Fottete questo tizio; non fate nulla”.

La Convenzione sul Trasferimento delle persone condannate riporta specificamente all’articolo 3 che una persona condannata può essere trasferita, se vi è l’accordo dello stato che ha comminato la sentenza e di quello che gestisce la custodia (quest’ultimo è l’Australia).

Essendo tra i pochi giornalisti che si sono occupati del caso di Assange, posso confermare che finora l’Australia non ha dato alcun segno che accetterebbe la richiesta di Julian di scontare da loro la sua condanna, nel caso in cui l’avanzasse.

Nelle sue decisioni, la Corte Nazionale Spagnola aveva anche dichiarato espressamente che a Mendoza non poteva essere dato l’ergastolo o un numero di anni equivalente, se fosse stato estradato. La nota diplomatica diceva in effetti che gli Stati Uniti non avrebbero richiesto l’ergastolo; tuttavia assicurava che “Mendoza avrebbe ricevuto una determinata pena detentiva”- il che poteva significare un numero qualsiasi di anni e non si accorda esplicitamente con le condizioni poste dalla Spagna.

Mentre le garanzie diplomatiche offerte alla Spagna potevano essere formulate in maniera vaga, il documento seguente firmato dall’ambasciata degli Stati Uniti di certo non lo era.

Aprile 2009: Mendoza mostrò le garanzie diplomatiche degli Stati Uniti al tribunale spagnolo, lamentandosi che erano troppo ambigue. La Corte allora ordinò al governo spagnolo che “prendesse tutte le misure necessarie a garantire che gli Stati Uniti avrebbero rispettato tutte le condizioni della sua consegna [ed estradizione]”
Di conseguenza, venne stipulato un contratto per l’estradizione di Mendoza: gli Acta de Entrega ovvero l’“Atto di Consegna”.

I giudici ordinano al governo spagnolo di assicurarsi che gli Stati Uniti rispettino le condizioni dell’estradizione di Mendoza per mezzo degli Acta de Entrega.

Mentre Mendoza si trovava sulla pista dell’aeroporto di Barajas, pronto per essere estradato negli Stati Uniti, era accompagnato da un poliziotto spagnolo e un diplomatico spagnolo; ad attenderlo c’erano degli agenti statunitensi e una rappresentante dell’ambasciata americana a Madrid, Kimberly Wise.

Mendoza fu spogliato, gli venne fatta indossare una tuta arancione e fu ammanettato; poi gli venne detto di firmare gli Acta de Entrega.

Gli Acta de Entrega sono un documento fondamentale: essi dichiarano che Mendoza era stato consegnato alle autorità statunitensi, ma soprattutto confermano che la consegna di Mendoza era avvenuta “in ottemperanza a quello che era stato precedentemente stabilito dalla Sezione 2 del Tribunale Penale nazionale”. Vuol dire che chiunque sottoscriva questo documento, accetta i termini e le condizioni imposte dal tribunale spagnolo, ovvero che Mendoza debba scontare in Spagna la sua pena.

Kimberly Wise firmò gli Acta de Entrega in rappresentanza del governo degli Stati Uniti, accettando le condizioni dell’estradizione di Mendoza. Wise lo firmò insieme a Mendoza e ad un funzionario del governo spagnolo. Tutt’e tre le firme sugli Acta de Entrega sono mostrate qui sotto:

Gli Acta de Entrega, un contratto tra Mendoza, gli Stati Uniti e la Spagna che stabilisce che l’estradizione di Mendoza debba conformarsi alle condizioni dettate dalla Corte Nazionale Spagnola.

Senza lasciare spazio ad ambiguità, Mendoza ricorda come un ufficiale giudiziario spagnolo avesse mostrato a tutti il documento e avesse chiesto specificamente: “Capite tutti quello che state firmando?” mettendo in evidenza il testo con un tratto di penna che è ancora visibile sul lato sinistro della pagina.

Nonostante Mendoza avesse letto e firmato quel documento, gli Stati Uniti non gli avrebbero mai più permesso di rivederlo con la scusa che era riservato e che lui non aveva accesso alle comunicazioni diplomatiche.

Kimberly Wise che firmò gli Acta de Entrega a nome degli Stati Uniti ha lavorato all’ambasciata di Madrid fino al 2019.

In un’intervista con il Dipartimento di Stato, Kimberly Wise si vanta dei suoi stretti legami con il sistema giudiziario spagnolo: “Ho conoscenze nella polizia. Ho conoscenze tra i pubblici ministeri”.

Kimberly Wise, ambasciata statunitense di Madrid

Quando ho mostrato questo video a Mendoza, lui ha immediatamente riconosciuto la Wise: “È disgustoso come queste persone siano così intrallazzate con la giustizia spagnola- e con una tale arroganza, come se lei li manovrasse”.

Aprile 2009: David Mendoza Herrarte è estradato negli Stati Uniti.

Dopo aver firmato gli Acta de Entrega, Mendoza era ufficialmente sotto la giurisdizione degli Stati Uniti. Ricorda la consegna alle autorità americane: “La prima cosa che fanno quando mettono le mani su di te è denudarti completamente. Gli agenti controllano la tua bocca, il tuo culo, le tue orecchie, ogni orifizio. Tentano di umiliarti in ogni modo: “Accucciati! Adesso fa questo…” Ti dicono: adesso sei sotto la giurisdizione degli Stati Uniti e la nostra legge è quella che ti verrà applicata.

Giugno 2009: una volta negli Stati Uniti, Mendoza prese parte a quella che è conosciuta come un’udienza arbitrale ovvero un incontro di patteggiamento. In questa occasione gli accordi tra pubblici ministeri e imputato vengono negoziati alla presenza di un giudice.

I pubblici ministeri minacciarono Mendoza di fargli trascorrere oltre 20 anni in prigione se non avesse consegnato loro altre sue proprietà.
“Avevo un grande edificio a Tacoma, Washington, del valore di 2 milioni di dollari. I federali volevano appropriarsene, ma non potevano, perché era intestato a mia moglie e non aveva legami con i narcotici”.

A Mendoza venne detto che, se avesse ceduto l’edificio, il governo degli Stati Uniti non si sarebbe opposto alla sua richiesta di trasferimento in Spagna. Mendoza chiese che venisse messo per iscritto. Gli fu detto di no, che non era una pratica comune durante l’arbitrato. Il giudice, Ricardo Martinez, lo rassicurò che il suo ruolo era di fare in modo che il governo mantenesse la parola data.

Controvoglia, Mendoza cedette la proprietà pensando che questo avrebbe agevolato il suo rientro in Spagna. “Appena arrivato, mi resi conto che era tutta una faccenda di denaro. Volevano che cedessi tutto”.

Gli assistenti procuratori presenti erano Susan Roe, Roger Rogoff e Richard Cohen. Tutte le decisioni dovevano passare attraverso Jenny Durkan, la procuratrice capo contro Mendoza. Durkan ora ricopre la carica di sindaco a Seattle, nello stato di Washington.

A quel punto il governo degli Stati Uniti aveva già preso beni e proprietà di Mendoza per un valore di 14 milioni di dollari, la stragrande maggioranza dei quali non aveva alcun collegamento con i narcotici.

Al momento della sentenza, Mendoza si trovava di fronte alla prospettiva di 14 anni di carcere. Mendoza disse al giudice: “Vostro onore, l’accusa stima che io abbia ricavato 2 milioni dalla marijuana. Ciononostante, mi avete confiscato proprietà per 14 milioni. Dov’è la bilancia della giustizia qui? Prendete 2 milioni e io ne tengo 12. Ho lavorato ogni ora della mia vita su questi edifici”.

Thomas Zilly, il giudice distrettuale capo, guardò con disprezzo Mendoza e gli disse: “Giovanotto, negli Stati Uniti d’America, se mischi una monetina sporca con cento monetine pulite, diventa tutto proprietà dello stato”.

Mendoza mi ha spiegato: “Ancor prima di essere incriminato o estradato, avevano requisito le mie proprietà e le avevano messe al centro di una contesa civile. Su ciascuna delle mie proprietà, avevano piantato dei cartelli che dicevano che erano state requisite dal governo federale e avevo 90 giorni di tempo per impugnare la decisione”.

Mendoza sospetta che il governo stesse cercando di intrappolarlo obbligandolo a ritornare negli Stati Uniti per contestare le confische in tribunale, perché non avevano abbastanza prove per collegarlo agli stupefacenti.

“Assunsi un avvocato per contestare le confische. Ma uno dei trucchi del governo è che tu non puoi opporti in un procedimento civile al di fuori degli Stati Uniti. Devi essere lì tu stesso. Questo era un sotterfugio per costringermi a tornare negli Stati Uniti. Hanno messo i sigilli a tutte le mie proprietà, senza curarsi se erano state coinvolte nel crimine o nei profitti [illeciti]; si sono presi tutto”.

Documento giudiziario che elenca alcune delle proprietà che Mendoza ha ceduto al governo degli Stati Uniti, incluso lo stabile a Tacoma, WA.

Al momento della condanna, Mendoza chiese che il tribunale rispettasse le condizioni dell’estradizione e lo rimandasse in Spagna a scontare la sua pena. Mendoza rammenta il seguente scambio:

Giudice Zilly: Signor Mendoza, lei si ricorda in base a quale strumento è stato estradato negli Stati Uniti?

Mendoza: Sì, il Trattato di Estradizione tra la Spagna e gli Stati Uniti d’America.

Giudice Zilly: Giusto. E lei è un firmatario di questo trattato? Lo ha sottoscritto?

Mendoza: No. Lo hanno sottoscritto Spagna e Stati Uniti.

Giudice Zilly: Esatto. Se lei non è tra i firmatari, non può avanzare alcuna pretesa.

In quel momento è diventato chiaro che gli Stati Uniti non avevano mai avuto intenzione di rimandare Mendoza in Spagna. Lo avevano spolpato di ogni centesimo che possedeva e poi avevano violato le garanzie diplomatiche offerte alla Spagna.
Quello che gli Stati Uniti stavano dicendo è che siccome Mendoza non ha sottoscritto il trattato di estradizione tra la Spagna e gli Stati Uniti, non può citare in causa gli Stati Uniti per violazione del contratto, qualora questi ultimi non lo trasferiscano in Spagna.

Questa potrebbe sembrare un’affermazione ridicola e in effetti lo è. Ovviamente Mendoza non è un firmatario del trattato di estradizione perché i trattati vengono siglati tra stati, non tra persone fisiche.

Mendoza si aspetta che gli Stati Uniti ricorrano agli stessi trucchetti con Assange se si rifiutano di mandarlo in Australia e se lui contesta questa decisione in tribunale.
“In quella nota dev’essere scritto espressamente che Julian ha diritto di contestare la mancata osservanza da parte degli Stati Uniti, anche se non è tra i firmatari del Trattato. Perché gli Stati Uniti si metteranno a giocare sporco”.

Nel caso di Mendoza tuttavia esisteva un documento che lui, gli Stati Uniti e la Spagna avevano sottoscritto tutti e tre insieme, in base al quale lui doveva scontare la sua pena in Spagna: gli Acta de Entrega.

Mendoza ne richiese una copia attraverso una richiesta di accesso agli atti (FOIA, Freedom of Information Act), ma fu respinta. Invece gli venne data un’altra versione degli Acta de Entrega nella quale mancava la sua firma. La versione che gli Stati Uniti gli avevano rilasciato recava soltanto le firme dei rappresentanti dei governi statunitense e spagnolo (a destra), anziché la versione originale (a sinistra) sottoscritta da lui, dalla Spagna e dagli Stati Uniti.

Sulla base di una richiesta di accesso agli atti (FOIA), Mendoza richiede agli Stati Unitiuna copia degli Acta de Entrega che aveva firmato (a sinistra). Gli Stati Uniti rifiutano dicendo che era riservato e che lui non poteva avere accesso alla corrispondenza diplomatica.

Mendoza fu condannato a 14 anni di reclusione; anziché mandarlo immediatamente in Spagna per scontare la sua condanna, a Mendoza venne detto di fare richiesta per il trasferimento. Lo fece e la risposta degli Stati Uniti fu: “no”.

“Gli Stati Uniti rigettano la richiesta di trasferimento a causa della gravità del crimine, per il fatto che il prigioniero è residente negli Stati Uniti, per il fatto che il detenuto viene ritenuto inadatto per via dei suoi precedenti penali e infine a causa di seri timori riguardo all’applicazione della legge”.

In totale Mendoza ha fatto richiesta 3 volte per il trasferimento in Spagna sulla base del trattato. Tutt’e 3 le richieste sono state respinte violando le condizioni della sua estradizione. Ogni volta, dopo aver fatto richiesta, ha dovuto attendere 8 mesi per una decisione, e ancora di più per poter ripresentare la richiesta.
Il rifiuto stabilisce che “non esiste la possibilità di presentare un ricorso per via amministrativa. A meno che sia specificato altrimenti, il prigioniero può ripresentare la sua richiesta a due anni di distanza da questo rifiuto”

Mendoza mi ha detto: “Questo è stato il momento in cui ho capito di essere nella giurisdizione sbagliata. Non riuscirò ad ottenere niente qui. Farò causa al mio paese perché, se non altro, lì potrei riuscire ad avere un piccolo assaggio di giustizia”.

Dopo il primo rifiuto nel 2010, Mendoza ha citato la Spagna in un tribunale penale, chiedendo ai giudici di applicare le condizioni dell’estradizione, ovvero farlo rientrare in Spagna. Inizialmente i tribunali di grado inferiore gli dissero che non c’era nulla che potessero fare. Poi il caso andò alla Suprema Corte Penale, che si rifiutò di prenderlo in esame.

Erano trascorsi due anni e Mendoza non aveva fatto progressi nei tribunali penali. La sua mossa successiva fu tentare con la Corte Costituzionale Spagnola, ma anche quella si rifiutò di prendere in esame il suo caso o di costringere gli americani a rispettare la loro parte dell’accordo.

La terza e ultima scelta era il tribunale civile.

Nel 2014 Mendoza intentò 2 cause contro la Spagna: 1) che le condizioni della sua estradizione non erano state rispettate e 2) che i suoi diritti umani erano stati violati. Ciascuna di queste cause finì alla Corte Suprema e Mendoza le vinse entrambe.

La Corte Suprema Spagnola definì gli sforzi compiuti dal governo per riportare indietro Mendoza dagli Stati Uniti insufficienti e ridicoli. Al governo venne ordinato di rilasciare le comunicazioni diplomatiche con gli Stati Uniti- che in un primo tempo avevano rifiutato di consegnare a Mendoza. Si scoprì che la Spagna aveva chiesto agli Stati Uniti di rimpatriare Mendoza solo 2 volte.

Al governo spagnolo venne intimato di “prendere tutte le misure per assicurarsi che gli Stati Uniti cedessero il richiedente [Mendoza] al governo spagnolo, affinché potesse scontare in Spagna la sua condanna”. Altrimenti, la Corte Suprema avrebbe usato tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere questo scopo. In altre parole, la Corte Suprema minacciò di sospendere completamente il trattato di estradizione tra Spagna e Stati Uniti.

A quel punto gli Stati Uniti cominciarono a sentire una certa pressione.

“Una volta che la Corte Suprema Spagnola ebbe emanato quella sentenza, iniziarono a farsela addosso”, spiega Mendoza. “Se la Spagna avesse sospeso il trattato di estradizione, ci sarebbe voluto un enorme procedimento per ripristinarlo. Deve passare attraverso il Parlamento Spagnolo, l’Unione Europea e avrebbe attirato troppa attenzione. A loro piace fare le cose di nascosto, l’ultima cosa che vogliono è che diventi di dominio pubblico”.

La Corte Suprema Spagnola delibera a favore di Mendoza, Dicembre 2014

Nel 2014, poco prima che la Suprema Corte Spagnola si pronunciasse a favore di Mendoza, alcuni diplomatici iberici gli fecero visita in prigione. Gli misero davanti un pezzo di carta e dissero che, se lo avesse firmato, sarebbe tornato in Spagna immediatamente. A quanto pare gli Stati Uniti volevano 5 Colombiani che si trovavano in Spagna ed erano disponibili a scambiarli con Mendoza.

Mendoza respinse l’offerta senza mezzi termini. Non aveva intenzione di assumersi la responsabilità di aiutarli ad estradare cinque Colombiani, senza menzionare il fatto che questo non era mai stato parte dell’accordo.

La diplomatica fu indignata dal rifiuto di Mendoza di collaborare: “Aveva un’espressione scandalizzata sul viso e mi disse in spagnolo: “Perché lei rende sempre tutto così difficile?”.

Mendoza scattò: “Signora, siete voi che rendete le cose difficili. Siete voi quelli che non rispettano gli ordini del tribunale. L’ordine non dice cinque colombiani o cinque tedeschi in cambio di Mendoza”.

Mendoza sospetta che questa fosse una tattica manipolatoria; il governo aveva avuto sentore che la Corte Suprema si sarebbe espressa a favore di Mendoza e voleva farlo rientrare in Spagna al più presto, prima che la sentenza causasse qualche screzio con gli Stati Uniti.

Mentre Mendoza faceva causa alla Spagna dalla sua cella negli Stati Uniti, la pressione stava crescendo nel paese.
Mentre si trovava in carcere Mendoza scrisse a tutti i membri del Parlamento spagnolo. Ogni settimana spediva pacchi di lettere indirizzate a politici, magistrati, avvocati e altri, cercando di richiamare l’attenzione sul suo caso.
Mendoza mi ha raccontato come avesse passato i suoi giorni in carcere alla biblioteca giuridica studiando diritto penale, familiarizzandosi con le estradizioni e scoprendo come gli Stati Uniti avessero infranto delle garanzie già molte volte.

Il sostegno a Mendoza cresceva considerevolmente in Spagna. Quando i giudici spagnoli vennero a sapere cosa stava succedendo, si irritarono con il rifiuto degli Stati Uniti di conformarsi alle condizioni dell’estradizione. Iniziarono a fare pressione sugli Stati Uniti con i loro mezzi, rifiutandosi di mandare avanti i casi di estradizione dei cittadini spagnoli.

Per mettere le cose in chiaro, Gomez Bermudez, un magistrato di lunga carriera dell’Audiencia Nacional convocò l’ambasciatore statunitense in Spagna e scrisse una deposizione nella quale si diceva che i tribunali spagnoli “avevano specificato in maniera assolutamente chiara che gli Stati Uniti non avevano la possibilità di rifiutare il trasferimento [di Mendoza] in Spagna senza venir meno alle condizioni a cui era stata concessa l’estradizione”
Disse loro che avrebbero fatto meglio a rimpatriare Mendoza, perché in caso contrario si sarebbero compromesse le future estradizioni dalla Spagna agli Stati Uniti, una nazione con la quale fino a quel momento c’era stata un’armoniosa e proficua cooperazione legale.

Mandò lo stesso ordine al Ministro di Giustizia.

Un altro colpo di fortuna per Mendoza arrivò a mezzo posta, nascosto in una pila di documenti legali: un giudice gli aveva mandato in forma anonima una copia degli Acta de Entrega originali, il contratto che lui, la Spagna e gli Stati Uniti avevano sottoscritto tutti insieme.

Questo significa che lui era finalmente in grado di fare causa al governo degli Stati Uniti per violazione delle clausole contrattuali dal momento che non lo avevano rimandato in Spagna. E fu proprio quello che fece.

Mendoza intentò una causa civile contro il governo degli Stati Uniti e il Procuratore Generale di Obama, Eric Holder.
La denuncia di Mendoza contro gli Stati Uniti era incentrata su 4 punti. In aula il Procuratore americano dichiarò che gli Acta de Entrega non erano un contratto, ma una ricevuta per 350 euro. Mendoza gli diede dell’idiota e chiese se avesse trovato la laurea in legge in una confezione di cracker, facendo ridacchiare leggermente il giudice.

Mendoza querela in sede civile gli Stati Uniti e il Procuratore Generale, Eric Holder, per aver violato le condizioni della sua estradizione dalla Spagna.

Alexey Tarasov rappresentava Mendoza nell’azione legale contro gli Stati Uniti. Tarasov mi ha raccontato che, mentre stava comprando i biglietti aerei per recarsi in tribunale a Seattle, ricevette una chiamata dal pubblico ministero che lo informava che, se Mendoza avesse rinunciato alla causa civile, gli avrebbero permesso di tornare in Spagna immediatamente.

La pressione che Mendoza era stato in grado di esercitare dall’interno della sua cella, facendo causa sia alla Spagna che agli Stati Uniti sembrava aver dato i suoi frutti- per il momento.

Paula Wolff all’epoca coordinava il trasferimento dei prigionieri al Dipartimento di Giustizia. Era in contatto costante con la CIA, l’FBI, la DEA e il Dipartimento di Stato. Affinché potesse partire per la Spagna, ciascuna di queste agenzie doveva dare il suo consenso al trasferimento.

Prima che gli fosse permesso di partire, Mendoza fu condotto davanti ad un giudice insieme ad altri prigionieri che erano processati per estradizione. A Mendoza fu detto di firmare un foglio in base al quale una volta in Spagna avrebbe dovuto scontare l’intera condanna. Lui rifiutò dicendo che non era parte dell’accordo. Questo provocò un contrattempo e il giudice sospese la seduta. Mendoza sospetta che il giudice abbia telefonato a qualcuno a Washington DC e che gli sia stato detto di lasciar andare Mendoza e di farla finita con tutta questa storia, perché stava creando loro troppi problemi.

“La causa civile contro gli Stati Uniti era stata una cosa per riavere indietro le mie proprietà. Ma quello che li ha messi veramente in allarme è stata la paura di perdere il Trattato di Estradizione con la Spagna”, mi ha riferito.

Dopo 6 anni e 9 mesi negli Stati Uniti e dopo aver fatto causa sia contro la Spagna che gli Stati Uniti, il trasferimento di Mendoza in Spagna fu finalmente approvato nel 2015.

A Mendoza fu permesso di tornare in Spagna, ma mi ha confessato: “Rinunciare alla causa contro gli Stati Uniti è stato il più grande errore della mia vita”.

Non volevano essere giudicati in un tribunale civile per violazione di contratto. Volevo chiedere che mi fossero restituite tutte le mie proprietà finché non avessero acconsentito a risarcirmi.

Mentre si trovava in prigione, Mendoza aveva studiato i testi giuridici [e aveva appreso] come degli statunitensi avessero fatto causa ad altri paesi dall’interno dei confini degli Stati Uniti, nei tribunali federali. E fu ispirato a fare lo stesso: “Mi dicevo che quando sarei rientrato in Spagna avrei intentato una causa contro gli Stati Uniti nei medesimi termini”.

Ma con sua grande sorpresa, scoprì che questo non era più possibile. La Spagna aveva varato una nuova legge sull’immunità di Stato nel 2015.

In tutto Mendoza aveva trascorso 6 anni e 9 mesi in carcere negli Stati Uniti. E ogni giorno che vi aveva trascorso, lo aveva passato in violazione del Trattato di Estradizione tra Spagna e Stati Uniti d’America e delle condizioni dettate dalla Corte Nazionale Spagnola.

Quando Mendoza tornò in Spagna nel 2015, il giudice Grande-Marlaska gli disse che lo avrebbe lasciato libero. Tuttavia tre giorni dopo, Grande Marlaska cambiò improvvisamente idea. Mendoza sospetta che gli americani abbiano fatto pressione su di lui.

Il giudice mantenne la condanna di Mendoza a 14 anni, perché la legge spagnola era stata cambiata nel 2014 portando la pena da 6 a 15 anni. Marlaska da allora è stato promosso a Ministro dell’Interno.

La logica di Marlaska era che Mendoza era stato rimpatriato nel 2015, quindi si doveva applicare la legge di quel tempo. Ma le attività criminali di Mendoza avevano avuto luogo nei primi anni del 2000 e lui era stato condannato negli Stati Uniti nel 2009.

Verdetto del Giudice Grande-Marlaska

Mendoza disse al giudice: “ Vostro onore, non potete condannarmi con effetto retroattivo. Dovete applicare la legge che era in vigore quando sono stato condannato, quando il crimine è stato commesso”.

La condanna retroattiva è proibita dalle Nazioni Unite, dalla Convenzione europea sui diritti umani e dalla Costituzione Spagnola. Le leggi solitamente vengono applicate in maniera retroattiva solo se da ciò il condannato trae un beneficio, nel senso che viene ridotta la condanna o vengono fatti cadere alcuni precedenti.

Mendoza dice: “Se gli Stati Uniti e la Spagna avessero fatto quello che dovevano fare, sarei rientrato in Spagna alla fine del 2009. A quel tempo non c’era nessuna “nuova legge”. Avrei fatto qualche altro anno in un carcere spagnolo, a quel punto ne avevo già fatti due negli Stati Uniti. Invece, ho fatto quasi 7 anni negli Stati Uniti e poi altri 4 in Spagna”.

Mendoza sospetta che il nuovo verdetto sia stato emesso per fargli un dispetto. “È il loro modo di dire: anche se ci hai costretto a rimandarti indietro, non te la caverai”. Pensa che Kimberly Wise, la diplomatica che ha presenziato alla sua estradizione, ci abbia messo lo zampino.

In Spagna Mendoza è uscito di prigione solo nel 2019: “Mi hanno dato la libertà condizionata, che viene concessa in Spagna dopo aver scontato i ⅔ della pena nel caso di crimini non violenti. Ti dicono che puoi andare a casa e presentarti [alle autorità giudiziarie] ogni 6 mesi”

Mendoza mi ha riferito che dopo il suo ritorno, la Spagna ha smesso di richiedere che gli Stati Uniti rimandassero indietro i prigionieri per scontare la loro sentenza in Spagna- probabilmente per evitare di indisporre gli Stati Uniti. La Spagna chiede sempre che non venga comminato l’ergastolo, ma scontare la pena in Spagna non è più una condizione che viene imposta.

Nel 2020 Mendoza ha sporto querela contro la Spagna presso le Nazioni Unite per averlo condannato in misura retroattiva. In genere, le Nazioni Unite accettano solo l’1–2% delle cause che vengono presentate; hanno accettato la sua.

Le Nazioni Unite accettano di esaminare la querela di Mendoza contro la Spagna

L’Accordo Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR, International Covenant on Civil and Political Rights) è un trattato internazionale che ha lo scopo di proteggere i diritti civili e politici; un trattato a cui la Spagna ha aderito. L’incriminazione sulla base di una legge ex post facto, ovvero una condanna retroattiva, è proibita in base al trattato.

Ho chiesto a Mendoza cosa si aspetta nel caso in cui le Nazioni Unite emettano un verdetto favorevole a lui.
“Abbiamo chiesto alle Nazioni Unite di costringere [la Spagna] al risarcimento, di far pubblicare il mio caso su tre giornali a grande tiratura e che cambino la legge di riferimento”

I pubblici ministeri spagnoli hanno detto alle Nazioni Unite che la querela di Mendoza dovrebbe essere respinta, sostenendo che la sola ragione per cui è rientrato in Spagna era di ottenere uno sconto di pena. (In Spagna a Mendoza per lo stesso reato sarebbero stati dati 6 anni anziché i 14 che gli sono stati comminati negli Stati Uniti). Mendoza dice che la loro tesi è ridicola: “Chi ha richiesto il mio ritorno in Spagna? Io o i tribunali? I tribunali, ovviamente; e allora andate a dirgli che stanno abusando la legge”.

Il governo Spagnolo ha contattato il legale di Mendoza e gli hanno chiesto se sarebbe disposto a rinunciare e se era una questione di soldi. Mendoza afferma: “Gli ho detto di andare a farsi fottere. Non voglio soldi. E non rinuncerò a questa azione: voglio che questo venga stabilito come legge o avremo sempre il solito sistema corrotto”.

Mendoza si augura che le Nazioni Unite decidano a suo favore, un processo che di solito impiega all’incirca 2 anni.

Nonostante le Nazioni Unite abbiano accettato il suo caso, Mendoza ha subito gravi conseguenze a causa dell’estradizione, delle numerose battaglie legali e del sopruso ai danni dei suoi diritti umani.

Mentre si trovava in prigione, entrambi i suoi genitori sono venuti a mancare. “Ho perso i miei genitori dopo 5 anni che mi trovavo in un penitenziario federale. Mi è stata negata la possibilità di abbracciare mia madre mentre lottava contro un tumore al pancreas” ricorda. Anche la relazione con la sua ex moglie e i suoi bambini ne ha sofferto.

“Ho dilapidato tutta la mia eredità e ogni dollaro che ho guadagnato onestamente in questa battaglia. Se non avessi avuto queste risorse, sarei ancora in una prigione federale”.

Gli Stati Uniti hanno preso 14 milioni di dollari a Mendoza, appropriandosi di diversi beni e attività, come immobili, ristoranti, di cui la gran parte non era collegata alla marijuana. Ho chiesto a Mendoza quanto abbia speso grossomodo nel tentativo di tornare in Spagna; lui ha calcolato di aver speso qualcosa tra i 220.000 e i 250.000 dollari. E dice di essere fortunato in confronto ad altri. Se non avesse avuto denaro da spendere in avvocati, sarebbe ancora bloccato in una prigione americana.

“Mi spiace davvero per quella gente in prigione: ragazzi a cui viene dato l’ergastolo per la marijuana. Oggi la marijuana è legale nella maggiorparte degli stati; eppure, sono ancora in prigione. Abbiamo un presidente il cui figlio si fa di cocaina: se fosse stato uno qualunque, gli avrebbero dato almeno 5 anni. Perché ciascuno non dovrebbe avere le stesse possibilità che ha lui? E’ scandaloso come il pubblico chiuda un occhio”.

Mendoza riconosce di aver commesso ciò di cui lo si accusa; tuttavia dice: “Se la legge dev’essere applicata alla lettera a me, perché la stessa cosa non vale per il governo degli Stati Uniti? Gli Stati Uniti hanno fatto un accordo con la Spagna per rimandarmi indietro e lo hanno disatteso”.

Mendoza ha offerto il suo aiuto ad altri che hanno affrontato un’estradizione negli Stati Uniti, come lo scomparso John McAfee, il famigerato trafficante d’armi Viktor Bout e Konstantin Yaroshenko (deportato nel 2010).

Nel 2013 un tribunale francese ha bloccato l’estradizione di Michael e Linda Mastro negli Stati Uniti, citando il caso di Mendoza come prova che la Francia non poteva fidarsi delle garanzie offerte dagli Stati Uniti.

Mendoza spera che il suo caso possa aiutare anche Julian Assange che si trova di fronte alla prospettiva di una condanna fino a 175 anni di carcere negli Stati Uniti per aver pubblicato i cablogrammi diplomatici e le prove di crimini di guerra in Iraq e Afghanistan. Il fascicolo contro di lui criminalizza di fatto il giornalismo.

Il mese scorso ho seguito il processo di appello ad Assange presso la High Court. Gli Stati Uniti stanno cercando di farlo estradare dal Regno Unito. Analogamente gli Stati Uniti hanno prodotto delle garanzie che Assange potrebbe scontare la condanna nel suo paese natale, l’Australia.

Ho riferito a Mendoza quello che James Lewis, il pubblico ministero capo, aveva detto: “Gli Stati Uniti non hanno mai infranto una garanzia diplomatica, mai”.

Mendoza ha esclamato: “Una simile risposta da un pubblico ministero? Onestamente, non mi capita spesso di perdere il sonno, ma è vomitevole sentire una cosa del genere da qualcuno da cui ci si aspetta che dica la verità in aula”.

I legali di Assange hanno citato il caso di Mendoza come un esempio della condotta sleale degli Stati Uniti a riguardo delle garanzie diplomatiche, lasciando intendere che non si poteva riporre fiducia in quelle offerte in quel momento per Assange.
Lewis ha replicato che nel caso di Mendoza gli Stati Uniti non sono venuti meno alle garanzie offerte perché alla fine a Mendoza è stato permesso di rientrare in Spagna per scontare la sua sentenza.

Mendoza si è infuriato per la replica di Lewis: “è come condannare qualcuno a morte, quello riesce ad impugnare la sentenza e tu dici che non hai cercato di ucciderlo. Hanno messo ogni possibile ostacolo [per impedirmi di rientrare in Spagna]”.

L’altra garanzia offerta dagli Stati Uniti dichiara all’apparenza che Assange non sarà rinchiuso nell’ADX Florence o sottoposto ad un regime carcerario duro, noto come Misure Amministrative Speciali (SAMs, Special Administrative Measures).
Come quelle offerte a Mendoza, le garanzie per Assange sono ambigue e formulate in maniera vaga. Gli Stati Uniti sostengono che non sarà sottoposto a SAMs o internato ad ADX, a meno che “dopo il rilascio di questa garanzia, egli commetta qualche atto futuro che rientri tra i criteri per l’imposizione delle Misure Amministrative Speciali ai sensi di 28 CFR § 501.2 e 501.3).

Una volta passato sotto la custodia degli Stati Uniti, questi potrebbero semplicemente affermare che Assange ha fatto qualcosa che “soddisfa i criteri per l’applicazione delle Misure Amministrative Speciali”, metterlo in isolamento e poi sostenere che loro non hanno mai violato le garanzie perché si erano lasciati aperti una scappatoia per poterlo fare.
Ecco perché Mendoza dice che le garanzie devono essere rigorosamente specificate, non ci deve essere spazio per le deroghe.

L’estradizione di Assange è stata bloccata il 4 gennaio 2021 da un giudice britannico in base al fatto che le condizioni delle carceri americane sarebbero eccessivamente opprimenti e lo porterebbero al suicidio.

Mentre era negli Stati Uniti, Mendoza era detenuto in una struttura di sicurezza medio-alta a Englewood in Colorado. Si trova vicino all’ADX Florence dove Assange sarà probabilmente mandato.

“Credetemi: le prigioni in Europa non sono belle. Ma quelle americane sono molto peggio. Io stavo in Colorado, uno dei più grandi puttanai in cui sia mai stato. Era lurido: ti facevano uscire dalla cella un’ora al giorno- quando decidevano loro, non quando volevo io”.

Le celle hanno degli apparecchi TV che funzionano a casaccio; se chiedevi troppe volte alle guardie di cambiare canale, ti punivano. Per esempio: alle 3 di notte arrivavano a bussarti e ti chiedevano: vuoi fare la tua ora di ricreazione? I prigionieri che dicevano di no, non potevano uscire dalla cella fino al giorno seguente.

Mendoza mi ha illustrato il processo di disumanizzazione e privazione del sonno in carcere: “Non hai un nome; hai un numero e devi ripeterlo ogni volta che fanno l’appello. Gli appelli hanno luogo ogni 3 ore nei penitenziari di maggior sicurezza. Un’altra cosa che le guardie fanno è, anziche puntare la torcia al soffitto, te la puntano dritto negli occhi”.

“Temo che questo è quello che succederà ad Assange. Lo faranno impazzire. L’unica cosa che mi ha permesso di restare sano di mente è stato questo lavoro legale: scrivere ai giudici e alla stampa, perseguire gli Stati Uniti in un tribunale civile”.

Quello che Mendoza ha passato è un gradino sotto a quello che succederà ad Assange. Non solo ADX Florence è una prigione federale di massima sicurezza, ma Assange verrebbe messo sotto le Misure Amministrative Speciali, in un isolamento estremo.

Mendoza mi racconta che le visite devono essere approvate da persone specifiche. “Mia moglie era canadese, ma dovevo chiedere il permesso affinché lei potesse attraversare il confine ogni volta che veniva a trovarmi, perché pensavano che le affidassi dei messaggi da passare ad altri. Ho dovuto rivolgermi al tribunale perché mia moglie potesse portare i bambini a vedermi”.

All’epoca i genitori di Mendoza vivevano a Seattle nello stato di Washington. Lui aveva chiesto di essere trasferito in una struttura a Sheridan, nell’Oregon, così da poter stare più vicino a loro. “Invece mi hanno mandato nel New Jersey [dall’altra parte degli Stati Uniti] per darmi un dispiacere”

L’intero scopo della possibilità per Mendoza di scontare la sua condanna in Spagna era che lui potesse stare vicino ai suoi cari. Ecco perché una simile condizione era stata imposta dal tribunale spagnolo: per mantenere il nucleo della famiglia.

In base all’articolo 8 della Convenzione Europea sui Diritti Umani, ogni detenuto ha diritto al rispetto per la vita privata e familiare. Questo significa che non possono essere incarcerati in un posto tanto lontano da rendere le visite familiari difficili o impossibili. Benché abbiano rimandato Mendoza in Spagna, alla fine gli Stati Uniti sono riusciti a violare la ragione fondante della condizione [richiesta dalla Spagna]: la sua famiglia si è disgregata. Mentre era in prigione Mendoza ha perso i suoi genitori, lui e sua moglie hanno divorziato e mi ha detto: “I miei figli non mi chiamano papà, mi chiamano David”.

David Mendoza Herrarte con i suoi 2 figli dopo che gli fu concesso di rientrare in Spagna dagli Stati Uniti.

Il caso di Mendoza è di per sé una storia incredibile.
Tuttavia, dev’essere analizzato nel contesto dell’estradizione di Assange. Quando James Lewis ha detto ai giudici della High Court che “gli Stati Uniti non hanno mai in nessun caso infranto una garanzia diplomatica”- questo non è altro che una falsità.

I documenti mostrati sopra evidenziano come gli Stati Uniti abbiano contravvenuto al loro accordo e abbiano violato le garanzie diplomatiche alla Spagna. Mendoza doveva essere rimandato in Spagna a scontare la sua pena, invece ha trascorso 6 anni e 9 mesi in diverse prigioni americane. Solo dopo aver fatto causa sia agli Stati Uniti che alla Spagna- i suoi 2 paesi- per non aver rispettato le condizioni della sua estradizione, gli fu concesso di tornare. Solo dopo che la Corte Suprema spagnola ebbe deliberato a sua favore, mettendo a repentaglio lo stesso Trattato di estradizione Spagna- Stati Uniti, è stato in grado di costringere gli Stati Uniti a conformarsi alle condizioni della sua estradizione e a rimandarlo in Spagna.

Mendoza è stato così fortunato da avere la Corte Suprema Spagnola, i giudici anziani e l’opinione pubblica dalla sua parte. Se gli Stati Uniti dovessero violare le garanzie dell’estradizione di Assange, è estremamente improbabile, alla luce della “relazione speciale” tra Stati Uniti e Regno Unito, che Assange riesca a fare pressione con successo sul governo britannico perché costringa gli Stati Uniti a rispettare le condizioni della sua estradizione.

James Lewis ha detto all’Alta Corte inglese che le garanzie diplomatiche sono “impegni solenni, rilasciati sulla base di ordini di altissimo grado: non vengono fatte piovere come se fossero caramelle”. Ha ragione. E perciò la Corte ha il preciso obbligo di tener conto di quello che è capitato a Mendoza per il quale gli Stati Uniti avevano offerto garanzie diplomatiche e stabilire se quelle offerte ad Assange siano adeguate, ma soprattutto se ci sia la possibilità di farle rispettare una volta che Assange non sarà più sotto la giurisdizione britannica.

L’esperienza di Mendoza dimostra che per Assange tutte le garanzie diplomatiche o gli accordi devono essere scritti in un linguaggio esplicito e firmati da tutte le parti in causa, compreso Assange, di modo che se gli Stati Uniti dovessero disattenderli, lui abbia la facoltà di contestare tutto questo in un tribunale, nonostante il suo status di non firmatario del trattato di estradizione tra gli Stati Uniti e il Regno Unito.

Il caso di Mendoza offre alla Corte uno spaccato straordinario degli affari interni della diplomazia americana, dei procedimenti legali e dell’estradizione negli Stati Uniti. È un monito molto serio a cui i giudici dell’Alta Corte dovrebbero prestare attenzione, dal momento che hanno, se lo vogliono, il potere di impedire, prima ancora che si presentino, dei gravi errori giudiziari che metterebbero a serio rischio l’imputato.

“Io sono un signor nessuno. Se sono capaci di fare questo a me, immaginate cosa possono fare ad Assange”.

Di Richard Medhurst.

(Traduzione italiana di Serena Ferrario)

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Italiani per Assange

Gruppo di cittadini italiani residenti in Italia e all'estero, nato in difesa di Julian Assange e della libertà di stampa.