La verità che illumina la giustizia
Questo articolo riproduce il testo dell’intervento di Arianna Marchionne al sit-in dell’8 settembre 2021 a Roma in piazza Montecitorio.
Era tristemente prevedibile che, dopo l’accurata, esaustiva, bellissima puntata di Presa Diretta lo scorso 30 agosto, non siano mancati i soliti vili attacchi volti a denigrare la persona di Assange.
Questi attacchi generano, certo, indignazione, rabbia, ma io credo che il modo migliore per rispondere alla violenza, il modo migliore per neutralizzare questi attacchi così vaghi, diffamatori, basati su menzogne, sia quello di reagire con la verità, la verità che illumina la giustizia, e parlando bene di chi stimiamo.
Quindi oggi vorrei parlarvi di due persone le cui vicende sono strettamente collegate al caso di Julian Assange. Queste persone avevano un buon lavoro, la prospettiva di un’ottima carriera davanti a se’, eppure hanno deciso di fare un sacrificio molto importante per i propri connazionali e per i cittadini di tutto il mondo.
La prima persona si chiama Daniel Hale: e’ uno specialista dell’intelligence dell’aeronautica americana ed e’ un ragazzo della mia età’. Lo scorso 28 luglio e’ stato condannato in Virginia a 45 mesi di reclusione per aver violato l’Espionage Act, una legge del 1917 pensata per punire le spie, con la quale gli Stati Uniti vogliono effettivamente distruggere Julian Assange. “Hale e’ uno dei piu grandi whistleblowers” ha commentato Edward Snowden.
La parola whistleblower deriva dalla frase to blow the whistle (letteralmente «soffiare il fischietto») ed e’ riferita proprio all’azione dell’arbitro che segnala un fallo o a quella di un poliziotto che tenta di fermare un’azione illegale.
Il crimine di Hale è stato di segnalare questa verità: il 90% delle persone uccise dai droni statunitensi sono astanti, non sono gli obiettivi previsti.
Hale ha scritto una lettera al giudice che l’avrebbe poi condannato. Non era questa una richiesta di grazia, ma un modo per spiegare il motivo delle sue azioni, dal momento che l’Espionage Act non prevede la difesa del pubblico interesse e quindi l’imputato non puo’ spiegare in tribunale il motivo delle sue azioni.
E’ una lettera toccante, quella di Hale, dalla quale si percepisce il suo dolore, il suo senso di colpa, l’angoscia, l’inquietudine, ma anche il coraggio e la determinazione ad affrontare qualsiasi conseguenza. Egli ricorda le scene di violenza grafica, realizzate da quella che lui descrive come la ‘fredda comodità di una sedia da computer’. E questo è un estratto della sua lettera depositata in tribunale lo scorso 22 luglio:
“[…] Vostro Onore, […] ho continuato a eseguire gli ordini e obbedire al mio comando per paura di ripercussioni. Eppure, nel frattempo, diventavo sempre più consapevole che la guerra aveva ben poco a che fare con l’impedire al terrore di entrare negli Stati Uniti e molto di più con la protezione dei profitti dei produttori di armi e dei cosiddetti appaltatori della difesa. L’evidenza di questo fatto giaceva, nuda, tutt’intorno a me. […] Ma cosa avrei potuto fare per far fronte alle innegabili crudeltà che avevo perpetuato? La mia coscienza, una volta tenuta a bada, si riaffacciò prepotentemente alla vita. All’inizio, ho cercato di ignorarla. Desiderando invece che qualcuno, in una posizione migliore di me, venisse a prendersi questo dolore. Ma anche questa era una follia. Lasciato decidere se agire, potevo soltanto fare ciò che dovevo fare davanti a Dio e alla mia coscienza. La risposta mi è venuta, che per fermare il ciclo della violenza, dovevo sacrificare la mia vita e non quella di un’altra persona.
Così, ho contattato un giornalista con il quale avevo precedentemente comunciato e gli ho detto che avevo qualcosa che il popolo americano doveva sapere.”
La storia di Hale ricorda molto da vicino quella dell’importantissima fonte Chelsea Manning, l’ex militare accusata di aver consegnato a WikiLeaks decine di migliaia di documenti riservati che mostravano le atrocità’ e l’orrore delle guerre in Iraq e in Afghanistan.
Queste sono le parole che Chelsea Manning scrisse all’allora Presidente Obama:
“Quando prendevamo di mira quelli che percepivamo essere il nemico, a volte abbiamo ucciso civili innocenti. E ogni volta che abbiamo ucciso civili innocenti, invece di accettare la responsabilità della nostra condotta, abbiamo scelto di nasconderci dietro il velo della sicurezza nazionale e delle informazioni classificate per evitare qualsiasi responsabilità pubblica. […]
Se negate questa mia richiesta di grazia sconterò la mia pena, sapendo che a volte bisogna pagare un prezzo molto alto per poter vivere in una società libera. E pagherò volentieri questo prezzo, se significa che potremo avere un paese che è veramente concepito nella libertà e dedicato quindi alla proposizione che tutte le donne e tutti gli uomini sono creati uguali.”
Successivamente, Barack Obama le commuto’ la pena riducendola da 35 a 7 anni. In questi 7 anni Manning, giovanissima, ha tentato piu volte il suicidio.
L’aver lasciato un lavoro vantaggioso per ritrovarsi in una piccola cella, spesso in isolamento, ha permesso a Daniel e Chelsea di scrivere il loro nome nella Storia. Non quella dei traditori, come vengono spesso definiti da chi, incarcerandoli, vuole fare di loro un esempio, ma degli eroi che risiedono nelle stelle e che, per il loro coraggio, continuano a ispirare l’umanità nei secoli che si susseguono.
Quando si conoscono le vicende di queste persone, quando si capisce che non siamo al sicuro, che nessuno di noi lo e’, che i diritti esistono ma sino a un certo limite e che le nostre democrazie effettivamente vacillano, il mondo –o, meglio, la nostra percezione di esso– non e’ piu lo stesso.
Spero che a questo punto, quanti più possibile di noi abbiano sperimentato almeno un po’ del disagio che deriva da questa consapevolezza.
Lo scopo con cui e’ nato questo gruppo è, sì, di difendere persone come Assange, Hale, Manning, come Snowden, la libertà di stampa, il diritto a essere informat, i diritti umani, e la giustizia. Ma e’ anche quello di provocare una riflessione critica, di innescare un miglioramento politico, sempre chiedendoci cosa davvero significhi vivere in un mondo libero…
E se abbiamo fatto almeno questo, se l’inquietudine, l’indignazione, il disagio, e le domande continueranno ad affliggerci nei giorni e nei mesi a venire, e se riusciremo a trasformare poi tutti questi sentimenti di nuovo in desiderio, gettando così le fondamenta per la costruzione di un mondo migliore, che emerga da queste ceneri e aspettando il sorgere di giorni più luminosi, allora oggi, insieme, abbiamo raggiunto una cosa non da poco.
Grazie.